Una domanda tipica del paziente che si
sottopone all'esecuzione di un test genetico: quali probabilità ci sono che
il test rilevi la mutazione? Cerchiamo di dare una risposta.
La risposta non è sempre facile e
dipende sostanzialmente dal tipo di test e dalla malattia in questione. La
genetica delle malattie ereditarie può essere in effetti alquanto complessa.
Questo è anche il motivo per il quale è necessario che ogni paziente si
sottoponga a consulenza genetica prima e dopo il test. Il paziente va cioè ben
informato del fatto che il test può anche dare esito negativo o incerto (il che non
necessariamente serve a escludere la diagnosi clinica). Per semplicità prenderemo in considerazione i test genetici classici,
quelli che vengono cioè eseguiti per la diagnosi di malattie cromosomiche o
geniche ad ereditarietà mendeliana. Tralasceremo cioè di parlare dei test (per
lo più offerti da laboratori privati) che valutano i profili di suscettibilità
genetica a malattie multifattoriali, come ad esempio la cardiopatia ischemica
(questi test sono in realtà ancora di utilità limitata se non dubbia).
PATOLOGIA CROMOSOMICA
ESAME DEL CARIOTIPO
La patologia cromosomica è quella
dovuta ad alterazioni macroscopiche dei cromosomi. L'indagine cromosomica classica
è quella fatta tramite lo studio del cariotipo: dopo un normale prelievo di
sangue i linfociti (globuli bianchi) vengono coltivati in laboratorio e
bloccati nella fase replicativa della metafase per poi essere analizzati al
microscopio. Lo studio del cariotipo permette di vedere se vi sono alterazioni
di numero o grosse anomalie di struttura dei cromosomi. La sindrome di Down, ad
esempio, è dovuta nella maggioranza dei casi al presenza di un cromosoma 21
soprannumerario, cioè alla presenza di tre cromosomi 21 anziché due. Questa
anomalia di numero è perfettamente visibile al microscopio. Altri esempi rappresentativi di anomalie di numero includono la sindrome di Edwards
(trisomia del cromosoma 18) e la sindrome di Patau (trisomia del cromosoma 13).
Per quanto riguarda le anomalie di struttura, l'esame del cariotipo riesce a
evidenziare solo le più grandi, come ad esempio grosse traslocazioni, inversioni,
duplicazioni/delezioni, cromosomi ad anello (ring chromosomes), cromosomi
marcatori, eccetera.
In linea di massima l'esame del
cariotipo, pur essendo un'indagine estremamente operatore-dipendente (dipnendente cioè dall'abilità e dall'esperienza del citogenetista che la esegue) è molto affidabile in termini tecnici, poiché le alterazioni di
numero e struttura dei cromosomi sono ben caratterizabili al microscopio. Più ardua può essere
invece l'interpretazione del risultato, specialmente in fase prenatale. In
linea di massima, grosse alterazioni di numero e struttura dei cromosomi
correlano con quadri clinici di una certa gravità (anche se un discorso a parte
va fatto per le aneuploidie dei cromosomi sessuali, tipicente compatibili con
una vita sostanzialmente normale). Tuttavia, specialmente nel caso del
rilevamento di un' anomalia cromosomica fetale de novo, può essere estremamente
difficile predire quale sarà il quadro clinico nel nascituro (detto in termini
tecnici è cioè difficile predire la cosiddetta correlazione cariotipo-fenotipo). In tali casi è fondamentale l'aiuto del
genetista, che viene tipicamente offerto in sede di consulenza genetica prenatale. Nella predizione
del fenotipo il genetista si affida di solito alla letteratura scientifica, riferendosi cioè alle caratteristiche cliniche di pazienti recanti un'alterazione cromosomica uguale o simile già descritti in passato. Alle volte il fenotipo può
essere anticipato dal quadro ecografico del feto, dal quale si possono
evincere alcune caratteristiche dismorfiche. In molto casi, tuttavia, può
rimanere impossibile predire se il quadro clinico comprenderà anche il ritardo
mentale (grande discriminante in diagnosi prenatale, soprattutto in relazione
al processo decisionale della coppia). È comunque vero che il ritardo mentale resta una
caratteristica piuttosto frequente nelle sindromi di origine cromosomica.
INDAGINI FISH E CGH ARRAY
Esistono anche riarrangiamenti
cromosomici di dimensioni tali da non essere visualizzabili all'esame del
cariotipo, come ad esempio delezioni, duplicazioni o traslocazioni di poche
megabasi. In tal caso l'anomalia può essere identificata sostanzialmente
tramite due metodiche: la FISH (fluorescent in situ hybridization) o la CGH array
(comparative genomic hybridization). Entrambe
le metodiche presentano un limite di risoluzione: la FISH riesce ad
identificare alterazioni di dimensioni fino a 2-3 megabasi (Mb), mentre la
CGH array riesce ad arrivare a dimensioni ancora più piccole, fino anche a 5-10
kilobasi (Kb). La differenza maggiore fra FISH e CGH array risiede però nel tipo di
approccio diagnostico. Per eseguire la FISH è infatti necessario avere un
sospetto clinico ben preciso, poiché l'esame viene fatto attraverso l'utilizzo
di sonde fluorescenti specifiche per un determinato tratto cromosomico (se, ad
esempio, il pediatra sospetta fortemente una sindrome di DiGeorge, ordinerà
l'esecuzione della FISH per la regione cromosomica 22q22.1). La CGH array,
invece, consente di sondare a tappeto l'intero genoma a intervalli regolari e,
infatti, viene richiesta in tutti quei casi in cui non vi sia un sospetto diagnostico preciso,
ma nei qualsi si sospetti comunque un'anomalia cromosomica come causa della sindrome (e nei quali il cariotipo ha di solito già fallito nel dare una risposta). È
importante ricordare che non tutte le alterazioni cromosomiche rilevabili alla
CGH array sono patogene: alcune sono semplicemente dei polimorfismi. Per questo
motivo l'indagine CGH array va spesso eseguita anche nei genitori.
L'indagine FISH e l'indagine CGH array
sono entrambe molto affidabili. L'esame FISH in particolare presenta una
specificità e sensibilità praticamente del 100%, poiché le sonde si legano
sempre quando l'anomalia cromosomica sospettata è presente. Da un punto di
vista tecnico anche la CGH array è molto affidabile, ma, come anticipato, può esserne difficoltosa l'interpretazione, specialmente in fase
prenatale, poiché non tutte le anomalie rilevabili dalla CGH sono patogene.
PATOLOGIA GENICA
Andando ad un livello più
piccolo dei cromosomi, arriviamo alla cosiddetta patologia genica, quella cioè
causata da mutazioni di uno solo o di pochi nucleotidi. Se potessimo paragonare il
patrimonio genetico di un individuo ad una grade libreria, potremmo dire che la
patologia cromosomica è paragonabile alla perdita di scaffali interi di libri,
mentre la patologia genica è paragonabile alla perdita di un singolo libro (gene), di
una sola pagina o addirittura anche ad un semplice errore di stampa riguardante una singola
lettera (mutazione di singolo nucleotide, detta anche mutazione puntiforme). È
da precisare subito come la dimensione della mutazione non sia assolutamente in
relazione alla gravità del fenotipo. Alle volte si può infatti perdere un
intero scaffale senza che la qualità di vita sia gravemente compromessa, mentre
altre volte anche una singola lettera sbagliata può causare una
sindrome gravissima. Gli strumenti a
disposizione per la diagnosi della patologia genica rientrano tutte nel
capitolo della cosiddetta genetica molecolare ed includono: sequenziamento (di
singolo gene, di gruppi di geni o dell'intero esoma o genoma), studio di delezione/duplicazione
(tramite multiplex ligation probe amplification - MLPA o quantitative PCR -
qPCR), studio di ripetizioni (tramite fragment length analysis, repeat primed assay o
Southern blotting)
SEQUENZIAMENTO
Tradizionalmente il sequenziamento è
sempre stato sequenziamento di singolo gene tramite metodo Sanger. In effetti
il sequenziamento Sanger rappresenta ancora l'approccio di riferimento in molti casi e specialmente nel contesto
della diagnostica di laboratorio clinicamente certificata. Negli ultimi anni, tuttavia, è definitivamente decollata la Next Generation Sequencing (NGS), la quale può essere
applicata sia allo studio di singolo gene o gruppo di geni che allo studio
dell'intero genoma. Anche le indagini NGS sono per altro già certificabili per
uso diagnostico. Entrambe le metodiche sembrano essere sovrapponibili in termini
di specificità e sensibilità, anche se il sequenziamento Sanger viene ancora usato per la confermare le mutazioni identificate tramite analisi NGS.
Entrambi i metodi (Sanger e NGS) sono
ormai tecnicamente molto affidabili e la probabilità di rilevare una mutazione
dipende più dalla conoscenza delle basi genetiche della malattia e dalle
caratteristiche dello spettro mutazionale di un gene che dalla precisione
tecnica del metodo diagnostico. In particolare, la probabilità di rilevare una
mutazione al sequenziento dipende da:
- Genetica
della malattia: la malattia in questione può essere causata da
mutazioni in un singolo gene o da mutazioni in uno di tanti geni possibili
(eterogeneità genetica)? In caso di eterogeneità genetica, i geni sono tutti
noti o ne esistono di non ancora identificati?
Si prendano ad esempio la sindrome di
Bardet-Biedl, la sindrome di Joubert o la sindrome di Kallmann. Per tutte
queste sindromi sono state identificate mutazioni in numerosi geni diversi e
tuttavia in molti pazienti ancora non si riesce ad identificare l'allele patogeno. Questo significa che per ogni paziente sottoposto a test
genetico esiste una consistente probabilità che la mutazione non venga
identificata. Ad esempio, ancora oggi, nel 20% dei pazienti affetti da sindrome
di Bardet-Biedl non si riesce a trovare la mutazione in nessuno dei 14 geni
noti. Questa percentuale sale addirittura al
65-75% nel caso della sindrome di Kallmann
- Spettro
mutazionale del gene: le mutazioni che possono affliggere il gene in
questione ricadono tutte nella regione codificante o possono anche colpire
regioni normalmente non analizzate, come ad esempio gli introni o il promotore
del gene?
Vi sono non pochi esempi di malattie a
tramissione autosomica recessiva nelle quali a volte non si riesce ad
identificare la seconda mutazione. Si tratta di casi con una conferma clinica o
addirittura biochimica della malattia e nei quali, quindi, vi è la certezza della
diagnosi. Cionondimeno il test riesce ad identificare una sola mutazione. In
tali casi è verosimile che la seconda mutazione si nasconda in regioni del gene
che non vengono analizzate dal sequenziamento. Va infatti ricordato che di solito si sequenzia l’intera regione codificante e non l’intero gene, che, invece,
comprende quasi sempre anche vastissime regioni non-codificanti (introni). Nella grande
maggioranza dei casi le mutazioni colpiscono la regione codificante, alterando la
produzione della proteina finale. Tuttavia, in molti geni sono state già
identificate numerose mutazioni introniciche o lacalizzate nel promotore. Si tratta spesso di mutazioni che vengono identificate nel corso di studi
di ricerca. Il sequenziamento dell’intero gene sarebbe infatti estremamente
costoso ed è per questo che non è di solito disponibile nella diagnostica
di routine.
Ma una delle maggiori difficoltà date dal sequenziamento sta spesso nell'interpretazione clinica del risutlato
ottenuto. Alle volte viene identificata una mutazione nota in letteratura o una
mutazione non precedentemente riportata ma con un significato patogenico
altamente prevedibile (è il caso tipico delle mutazioni nonsenso, delle mutazioni di splicing e delle mutazioni frame-shifting). In altri casi, tuttavia, si riscontrano uno o più mutazioni di significato incerto (ad esempio mutazioni
missenso). In questo caso, poichè la mutazione potrebbe essere o non essere la
causa del fenotipo patologico del paziente, è necessario essere molto
scrupolosi nella interpretazione del test. Molto spesso l’unico modo per cercare di capirne di più è procedere al test del
portatore in altri memebri della famiglia. Questa sfida
interpretativa può già essere ardua nel sequenziamento di singolo gene o gruppo
di geni, ma può diventare davvero grande nel caso di sequenziamento dell’intero
esoma o del’intero genoma. Il sequenziamento dell’intera regione codificante
del genoma (detta, per l’appunto, esoma), spesso identificata col termine di
WES (whole exome sequencing) a porta sempre alla rilevazione di un gran
numero di varianti di significato incerto. In tal caso si presentano due
problemi: (1) come interpratare tutte queste varianti in rilezione al fenotipo del
paziente, (2) come e se comunicare il rilevamento di varianti che potrebbero essere
rilevanti per altri fenotipi patologici (ad esempio possibli mutazioni-malattia
per il quale il paziente risulta essere semplicemente portatore sano, ma che
potrebbero causare in concepimento di prole affetta). Le linea
guida in uso oggi consigliano in realtà di focalizzare l’attenzione solo sulle
varianti che potrebbe essere rilevanti per il fenotipo patologico del pazientee di non refertare tutte le altre.
ANALISI DI DELEZIONE/DUPLICAZIONE
Come detto, anche la perdita di un
libro intero sugli “scaffali” della libreria genoma (assimilabile al perdita di
un intero gene) rientra nel capitolo della patologia genica. Per identificare
questo tipo di mutazioni non sono utili nè cariotipo nè sequenziamento. FISH e
CGH possono dare qualche indizio, ma il metodo d’elezione per identificare
perdite (o duplicazioni) di questo ordine di grandezza rimane l’analisi di
delezione/duplicazione tramite MLPA (Multiplex
Ligation Probe Amplification) o qPCR (quantitative
PCR). L’affidabilità e la veridicità di queste metodiche è piuttosto alta, anche se vanno ricordate alcune cause frequenti di errori o
artefatti. Ad esempio, nel caso della MLPA, è bene sapere che qualsiasi
risultato di delezione o duplicazione relativo ad un singolo esone può essere
un artefatto, di solito causato dalla presenza inaspettata di polimorfismi nella sequenza
cui le sonde MLPA di legano. Un risultato MLPA che indichi la delezione o la duplicazione di un singolo esone andrebbe quindi sempre confermato tramite un
altro metodo (tipicamente tramite la qPCR). Lo stesso discorso vale per la qPCR. Va
inoltre ricordato che tutte le indagini quantitative come MLPA e qPCR sono in
generale piuttosto sensibili all’accuratezza nella preparazione del campione e nell’allestimento della reazione. In altre parole è meglio affidarsi a
laboratori certificati che abbiano una certa expertise in questo tipo di
analisi. Inoltre, la MLPA in particolare è sensibile al tipo di protocollo
utilizzato per l’estrazione del DNA e alcuni tipi di campione (come ad esempio
il sagnue secco su filter card) possono non essere adatti all’esecuzione di questo particolare
saggio.
ANALISI DI ESPANSIONE DI TRIPLETTE
Come è noto, una fetta della patologia
genica è costituita dalle cosiddette patologie da espansione di ripetizioni (di
triplette nella maggior parte dei casi; vedi ad esempio la corea di Huntington, diverse forme di atassia spinocerebellare, l'atassia di Friedreich, la distrofia miotonica di Steinert, la sindrome dell'X-fragile, ecc...). Nei casi in cui il numero di
ripetizioni patogeno sia basso si può procedere anche al semplice sequenziamento.
In linea di massima, però, si procede all’analisi fragment length (analisi di
frammenti). Questo tipo di test è conosciuto da molti anni e sono molti i
laboratori in grado di offrirlo, anche per la relativa semplicità della metodica. Va tuttavia tenuto presente una grande
problema dell’analisi fragment length: l’espansione di ripetizioni molto estese
(in realtà assai frequenti) non sono rilevabili dal
test. Dunque, ogni qual volta l’analisi fragment length dia un risultato di omozigosi
per un allele normale (non patologico), bisogna chiedersi se il paziente sia
davvero omozigote per quell’allele o se non sia piuttosto un eterozigote composto per un
allele normale e uno estremamente espanso che l’analisi non ha saputo rilevare.
In alcuni casi si possono individuare dei segni diretti ad un esame attento e avanzato dell'elettroferogramma. Ad esempio, espandendo il range della corsa e facendo zoom ravvicinati si può a volte
evidenziare un profilo cosiddetto a hedgehog (a porcospino), che sta indicare la
presenza di un allele molto espanso. In linea di massima, tuttavia, in caso di
risultato omozigote per un allele normale è bene procedere a test specifci, appositamente studiati per la rilevazione di alleli molto espansi. Questi test sono il Southern
blotting (che tutavia richiede un’apparecchiatura particolare di cui non tutti i
laboratori sono dotati) o il repeat primer assay (RPA), che può invece essere
eseguito con gli stessi strumenti utlizzati per l’analisi fragment length.
Nessun commento:
Posta un commento