lunedì 12 maggio 2014

DIAGNOSI PREIMPIANTO NON INVASIVA (NON-INVASIVE PGD)

Metodi sperimentali di diagnosi preimpianto non invasiva
Si sente parlare spessissimo della diagnosi prenatale non invasiva, ma non tutti sanno che all'orizzonte si profila già la diagnosi PREIMPIANTO non invasiva (non-invasive Pre-Gestational Diagnosis - PGD).

Cosa è la diagnosi preimpianto?

La diagnosi preimpianto consiste nell'analisi del patrimonio genetico dell'embrione prima che esso venga impiantato nell'utero. La diagnosi preimpianto, laddove consentita (in Italia è stata reintrodotta solo recentissimamente), consiste nel fare una microscopica biopsia dell'embrione nelle sue fasi iniziali allo scopo di analizzare l'assetto cromosomico e, nel caso sia nota una malattia genetica in famiglia, di eseguire l'analisi molecolare mirata per lo screening della mutazione-malattia familiare. Allo stato attuale la diagnosi preimpianto può essere fatta solo in modo invasivo, prelevando cioè cellule dall'embrione. Poiché alcuni sostengono che la biopsia potrebbe danneggiare l'embrione stesso o ridurre la percentuale di successo della fecondazione, la ricerca si sta muovendo verso il perfezionamento di alcune metodiche di diagnosi genetica preimpianto non invasiva. Tutte le opzioni sono ancora in fase sperimentale, ma potrebbero esserci presto novità importanti. Le principali metodiche di diagnosi preimpianto non invasiva fino ad ora proposte sono tre:

1) ANALISI DEL FLUIDO DEL BLASTOCELE

La blastocisti non è altro che l'embrione nei primissimi giorni di sviluppo. Essa è costituta da un piccolo ammasso di cellule che costituiscono la cosiddetta inner cell mass (ICM), dalla quale si svilupperà il feto vero e proprio, a sua volta circondato da un sottile strato di cellule che formano il cosiddetto trofoblasto (o trofoectoderma), dal quale si svilupperanno gli annessi (placenta). La ICM è adesa internamente al trofoblasto e si trova concentrata in un punto, perciò al'interno della blastocisti vi è una piccola cavità, detta blastocele. La metodica consiste nel prelevare con delle micropipette il liquido del blastocele per poter analizzare il DNA in esso contenuto. I primi esperimenti hanno dato risultati incoraggianti (anche perché il DNA sembra rilevabile nel 90% dei casi).

2) ANALISI DELLE PROTEINE SECRETE DALL'EMBRIONE

È stato dimostrato che la blastocisti in vitro secerne varie proteine. Alcuni studiosi hanno pensato che la produzione proteica della blastocisti possa variare in base al suo assetto cromosomico. In altri termini l'idea sarebbe quella di dedurre la ploidia (cioè il numero di cromosomi) della blastocisti attraverso l'analisi proteica del mezzo di coltura, cosi da poter selezionare solo le blastocisti euploidi (cioè quelle col numero di cromosomi corretto) prima dell'impianto in utero. Analizzando nove proteine diverse i ricercatori sono riusciti a dimostrare che questa strada è percorribile, perché in effetti blastocisti euploidi e aneuploidi esprimono profili di secrezione proteica diversi. 

3) ANALISI DELLA MORFOCINETICA DELL'EMBRIONE

Secondo questa teoria gli embrioni euplodi (cioè col giusto numero di cromosomi) e quelli aneuploidi (cioè col numero anomalo di cromosomi) seguirebbero una cinetica di divisione cellulare diversa. La metodica è basata su tecniche di imaging che fotografano gli embrioni a intervalli diversi. Gli attimi più cruciali per l'analisi morfocinetica sono quelli delle primissime divisioni cellulari (divisione a 2, 3, 4 e 5 cellule). Anche qui i primi risultati sono piuttosto incorragianti, in quanto i parametri morfocinetici sembrano potersi considerare marcatori di ploidia cellulare.

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