domenica 15 settembre 2013

AFFIDABILITÀ E VERIDICITÀ DI UN TEST GENETICO

Una domanda tipica del paziente che si sottopone all'esecuzione di un test genetico: quali probabilità ci sono che il test rilevi la mutazione? Cerchiamo di dare una risposta.

La risposta non è sempre facile e dipende sostanzialmente dal tipo di test e dalla malattia in questione. La genetica delle malattie ereditarie può essere in effetti alquanto complessa. Questo è anche il motivo per il quale è necessario che ogni paziente si sottoponga a consulenza genetica prima e dopo il test. Il paziente va cioè ben informato del fatto che il test può anche dare esito negativo o incerto (il che non necessariamente serve a escludere la diagnosi clinica). Per semplicità prenderemo in considerazione i test genetici classici, quelli che vengono cioè eseguiti per la diagnosi di malattie cromosomiche o geniche ad ereditarietà mendeliana. Tralasceremo cioè di parlare dei test (per lo più offerti da laboratori privati) che valutano i profili di suscettibilità genetica a malattie multifattoriali, come ad esempio la cardiopatia ischemica (questi test sono in realtà ancora di utilità limitata se non dubbia).

PATOLOGIA CROMOSOMICA

ESAME DEL CARIOTIPO

La patologia cromosomica è quella dovuta ad alterazioni macroscopiche dei cromosomi. L'indagine cromosomica classica è quella fatta tramite lo studio del cariotipo: dopo un normale prelievo di sangue i linfociti (globuli bianchi) vengono coltivati in laboratorio e bloccati nella fase replicativa della metafase per poi essere analizzati al microscopio. Lo studio del cariotipo permette di vedere se vi sono alterazioni di numero o grosse anomalie di struttura dei cromosomi. La sindrome di Down, ad esempio, è dovuta nella maggioranza dei casi al presenza di un cromosoma 21 soprannumerario, cioè alla presenza di tre cromosomi 21 anziché due. Questa anomalia di numero è perfettamente visibile al microscopio. Altri esempi rappresentativi di anomalie di numero includono la sindrome di Edwards (trisomia del cromosoma 18) e la sindrome di Patau (trisomia del cromosoma 13). Per quanto riguarda le anomalie di struttura, l'esame del cariotipo riesce a evidenziare solo le più grandi, come ad esempio grosse traslocazioni, inversioni, duplicazioni/delezioni, cromosomi ad anello (ring chromosomes), cromosomi marcatori, eccetera.

In linea di massima l'esame del cariotipo, pur essendo un'indagine estremamente operatore-dipendente (dipnendente cioè dall'abilità e dall'esperienza del citogenetista che la esegue) è molto affidabile in termini tecnici, poiché le alterazioni di numero e struttura dei cromosomi sono ben caratterizabili al microscopio. Più ardua può essere invece l'interpretazione del risultato, specialmente in fase prenatale. In linea di massima, grosse alterazioni di numero e struttura dei cromosomi correlano con quadri clinici di una certa gravità (anche se un discorso a parte va fatto per le aneuploidie dei cromosomi sessuali, tipicente compatibili con una vita sostanzialmente normale). Tuttavia, specialmente nel caso del rilevamento di un' anomalia cromosomica fetale de novo, può essere estremamente difficile predire quale sarà il quadro clinico nel nascituro (detto in termini tecnici è cioè difficile predire la cosiddetta correlazione cariotipo-fenotipo). In tali casi è fondamentale l'aiuto del genetista, che viene tipicamente offerto in sede di consulenza genetica prenatale. Nella predizione del fenotipo il genetista si affida di solito alla letteratura scientifica, riferendosi cioè alle caratteristiche cliniche di pazienti recanti un'alterazione cromosomica uguale o simile già descritti in passato. Alle volte il fenotipo può essere anticipato dal quadro ecografico del feto, dal quale si possono evincere alcune caratteristiche dismorfiche. In molto casi, tuttavia, può rimanere impossibile predire se il quadro clinico comprenderà anche il ritardo mentale (grande discriminante in diagnosi prenatale, soprattutto in relazione al processo decisionale della coppia). È comunque vero che il ritardo mentale resta una caratteristica piuttosto frequente nelle sindromi di origine cromosomica.


INDAGINI FISH E CGH ARRAY

Esistono anche riarrangiamenti cromosomici di dimensioni tali da non essere visualizzabili all'esame del cariotipo, come ad esempio delezioni, duplicazioni o traslocazioni di poche megabasi. In tal caso l'anomalia può essere identificata sostanzialmente tramite due metodiche: la FISH (fluorescent in situ hybridization) o la CGH array (comparative genomic hybridization). Entrambe le metodiche presentano un limite di risoluzione: la FISH riesce ad identificare alterazioni di dimensioni fino a 2-3 megabasi (Mb), mentre la CGH array riesce ad arrivare a dimensioni ancora più piccole, fino anche a 5-10 kilobasi (Kb). La differenza maggiore fra FISH e CGH array risiede però nel tipo di approccio diagnostico. Per eseguire la FISH è infatti necessario avere un sospetto clinico ben preciso, poiché l'esame viene fatto attraverso l'utilizzo di sonde fluorescenti specifiche per un determinato tratto cromosomico (se, ad esempio, il pediatra sospetta fortemente una sindrome di DiGeorge, ordinerà l'esecuzione della FISH per la regione cromosomica 22q22.1). La CGH array, invece, consente di sondare a tappeto l'intero genoma a intervalli regolari e, infatti, viene richiesta in tutti quei casi in cui non vi sia un sospetto diagnostico preciso, ma nei qualsi si sospetti comunque un'anomalia cromosomica come causa della sindrome (e nei quali il cariotipo ha di solito già fallito nel dare una risposta). È importante ricordare che non tutte le alterazioni cromosomiche rilevabili alla CGH array sono patogene: alcune sono semplicemente dei polimorfismi. Per questo motivo l'indagine CGH array va spesso eseguita anche nei genitori.

L'indagine FISH e l'indagine CGH array sono entrambe molto affidabili. L'esame FISH in particolare presenta una specificità e sensibilità praticamente del 100%, poiché le sonde si legano sempre quando l'anomalia cromosomica sospettata è presente. Da un punto di vista tecnico anche la CGH array è molto affidabile, ma, come anticipato, può esserne difficoltosa l'interpretazione, specialmente in fase prenatale, poiché non tutte le anomalie rilevabili dalla CGH sono patogene.

PATOLOGIA GENICA

Andando ad un livello più piccolo dei cromosomi, arriviamo alla cosiddetta patologia genica, quella cioè causata da mutazioni di uno solo o di pochi nucleotidi. Se potessimo paragonare il patrimonio genetico di un individuo ad una grade libreria, potremmo dire che la patologia cromosomica è paragonabile alla perdita di scaffali interi di libri, mentre la patologia genica è paragonabile alla perdita di un singolo libro (gene), di una sola pagina o addirittura anche ad un semplice errore di stampa riguardante una singola lettera (mutazione di singolo nucleotide, detta anche mutazione puntiforme). È da precisare subito come la dimensione della mutazione non sia assolutamente in relazione alla gravità del fenotipo. Alle volte si può infatti perdere un intero scaffale senza che la qualità di vita sia gravemente compromessa, mentre altre volte anche una singola lettera sbagliata può causare una sindrome gravissima.  Gli strumenti a disposizione per la diagnosi della patologia genica rientrano tutte nel capitolo della cosiddetta genetica molecolare ed includono: sequenziamento (di singolo gene, di gruppi di geni o dell'intero esoma o genoma), studio di delezione/duplicazione (tramite multiplex ligation probe amplification - MLPA o quantitative PCR - qPCR), studio di ripetizioni (tramite fragment length analysis, repeat primed assay o Southern blotting)

SEQUENZIAMENTO

Tradizionalmente il sequenziamento è sempre stato sequenziamento di singolo gene tramite metodo Sanger. In effetti il sequenziamento Sanger rappresenta ancora l'approccio di riferimento in molti casi e specialmente nel contesto della diagnostica di laboratorio clinicamente certificata. Negli ultimi anni, tuttavia, è definitivamente decollata la Next Generation Sequencing (NGS), la quale può essere applicata sia allo studio di singolo gene o gruppo di geni che allo studio dell'intero genoma. Anche le indagini NGS sono per altro già certificabili per uso diagnostico. Entrambe le metodiche sembrano essere sovrapponibili in termini di specificità e sensibilità, anche se il sequenziamento Sanger viene ancora  usato per la confermare le mutazioni identificate tramite analisi NGS.

Entrambi i metodi (Sanger e NGS) sono ormai tecnicamente molto affidabili e la probabilità di rilevare una mutazione dipende più dalla conoscenza delle basi genetiche della malattia e dalle caratteristiche dello spettro mutazionale di un gene che dalla precisione tecnica del metodo diagnostico. In particolare, la probabilità di rilevare una mutazione al sequenziento dipende da:

- Genetica della malattia: la malattia in questione può essere causata da mutazioni in un singolo gene o da mutazioni in uno di tanti geni possibili (eterogeneità genetica)? In caso di eterogeneità genetica, i geni sono tutti noti o ne esistono di non ancora identificati?

Si prendano ad esempio la sindrome di Bardet-Biedl, la sindrome di Joubert o la sindrome di Kallmann. Per tutte queste sindromi sono state identificate mutazioni in numerosi geni diversi e tuttavia in molti pazienti ancora non si riesce ad identificare l'allele patogeno. Questo significa che per ogni paziente sottoposto a test genetico esiste una consistente probabilità che la mutazione non venga identificata. Ad esempio, ancora oggi, nel 20% dei pazienti affetti da sindrome di Bardet-Biedl non si riesce a trovare la mutazione in nessuno dei 14 geni noti. Questa percentuale sale addirittura al 65-75% nel caso della sindrome di Kallmann

- Spettro mutazionale del gene: le mutazioni che possono affliggere il gene in questione ricadono tutte nella regione codificante o possono anche colpire regioni normalmente non analizzate, come ad esempio gli introni o il promotore del gene?

Vi sono non pochi esempi di malattie a tramissione autosomica recessiva nelle quali a volte non si riesce ad identificare la seconda mutazione. Si tratta di casi con una conferma clinica o addirittura biochimica della malattia e nei quali, quindi, vi è la certezza della diagnosi. Cionondimeno il test riesce ad identificare una sola mutazione. In tali casi è verosimile che la seconda mutazione si nasconda in regioni del gene che non vengono analizzate dal sequenziamento. Va infatti ricordato che di solito si sequenzia l’intera regione codificante e non l’intero gene, che, invece, comprende quasi sempre anche vastissime regioni non-codificanti (introni). Nella grande maggioranza dei casi le mutazioni colpiscono la regione codificante, alterando la produzione della proteina finale. Tuttavia, in molti geni sono state già identificate numerose mutazioni introniciche o lacalizzate nel promotore. Si tratta spesso di mutazioni che vengono identificate nel corso di studi di ricerca. Il sequenziamento dell’intero gene sarebbe infatti estremamente costoso ed è per questo che non è di solito disponibile nella diagnostica di routine.

Ma una delle maggiori difficoltà date dal sequenziamento sta spesso nell'interpretazione clinica del risutlato ottenuto. Alle volte viene identificata una mutazione nota in letteratura o una mutazione non precedentemente riportata ma con un significato patogenico altamente prevedibile (è il caso tipico delle mutazioni nonsenso, delle mutazioni di splicing e delle mutazioni frame-shifting). In altri casi, tuttavia, si riscontrano uno o più mutazioni di significato incerto (ad esempio mutazioni missenso). In questo caso, poichè la mutazione potrebbe essere o non essere la causa del fenotipo patologico del paziente, è necessario essere molto scrupolosi nella interpretazione del test. Molto spesso l’unico modo per cercare di capirne di più è procedere al test del portatore in altri memebri della famiglia. Questa sfida interpretativa può già essere ardua nel sequenziamento di singolo gene o gruppo di geni, ma può diventare davvero grande nel caso di sequenziamento dell’intero esoma o del’intero genoma. Il sequenziamento dell’intera regione codificante del genoma (detta, per l’appunto, esoma), spesso identificata col termine di WES (whole exome sequencing) a porta sempre alla rilevazione di un gran numero di varianti di significato incerto. In tal caso si presentano due problemi: (1) come interpratare tutte queste varianti in rilezione al fenotipo del paziente, (2) come e se comunicare il rilevamento di varianti che potrebbero essere rilevanti per altri fenotipi patologici (ad esempio possibli mutazioni-malattia per il quale il paziente risulta essere semplicemente portatore sano, ma che potrebbero causare in concepimento di prole affetta). Le linea guida in uso oggi consigliano in realtà di focalizzare l’attenzione solo sulle varianti che potrebbe essere rilevanti per il fenotipo patologico del pazientee di non refertare tutte le altre.

ANALISI DI DELEZIONE/DUPLICAZIONE

Come detto, anche la perdita di un libro intero sugli “scaffali” della libreria genoma (assimilabile al perdita di un intero gene) rientra nel capitolo della patologia genica. Per identificare questo tipo di mutazioni non sono utili nè cariotipo nè sequenziamento. FISH e CGH possono dare qualche indizio, ma il metodo d’elezione per identificare perdite (o duplicazioni) di questo ordine di grandezza rimane l’analisi di delezione/duplicazione tramite MLPA (Multiplex Ligation Probe Amplification) o qPCR (quantitative PCR). L’affidabilità e la veridicità di queste metodiche è piuttosto alta, anche se vanno ricordate alcune cause frequenti di errori o artefatti. Ad esempio, nel caso della MLPA, è bene sapere che qualsiasi risultato di delezione o duplicazione relativo ad un singolo esone può essere un artefatto, di solito causato dalla presenza inaspettata di polimorfismi nella sequenza cui le sonde MLPA di legano. Un risultato MLPA che indichi la delezione o la duplicazione di un singolo esone andrebbe quindi sempre confermato tramite un altro metodo (tipicamente tramite la qPCR). Lo stesso discorso vale per la qPCR. Va inoltre ricordato che tutte le indagini quantitative come MLPA e qPCR sono in generale piuttosto sensibili all’accuratezza nella preparazione del campione e nell’allestimento della reazione. In altre parole è meglio affidarsi a laboratori certificati che abbiano una certa expertise in questo tipo di analisi. Inoltre, la MLPA in particolare è sensibile al tipo di protocollo utilizzato per l’estrazione del DNA e alcuni tipi di campione (come ad esempio il sagnue secco su filter card) possono non essere adatti all’esecuzione di questo particolare saggio.


ANALISI DI ESPANSIONE DI TRIPLETTE

Come è noto, una fetta della patologia genica è costituita dalle cosiddette patologie da espansione di ripetizioni (di triplette nella maggior parte dei casi; vedi ad esempio la corea di Huntington, diverse forme di atassia spinocerebellare, l'atassia di Friedreich, la distrofia miotonica di Steinert, la sindrome dell'X-fragile, ecc...). Nei casi in cui il numero di ripetizioni patogeno sia basso si può procedere anche al semplice sequenziamento. In linea di massima, però, si procede all’analisi fragment length (analisi di frammenti). Questo tipo di test è conosciuto da molti anni e sono molti i laboratori in grado di offrirlo, anche per la relativa semplicità della metodica. Va tuttavia tenuto presente una grande problema dell’analisi fragment length: l’espansione di ripetizioni molto estese (in realtà assai frequenti) non sono rilevabili dal test. Dunque, ogni qual volta l’analisi fragment length dia un risultato di omozigosi per un allele normale (non patologico), bisogna chiedersi se il paziente sia davvero omozigote per quell’allele o se non sia piuttosto un eterozigote composto per un allele normale e uno estremamente espanso che l’analisi non ha saputo rilevare. In alcuni casi si possono individuare dei segni diretti ad un esame attento e avanzato dell'elettroferogramma. Ad esempio, espandendo il range della corsa e facendo zoom ravvicinati si può a volte evidenziare un profilo cosiddetto a hedgehog (a porcospino), che sta indicare la presenza di un allele molto espanso. In linea di massima, tuttavia, in caso di risultato omozigote per un allele normale è bene procedere a test specifci, appositamente studiati per la rilevazione di alleli molto espansi. Questi test sono il Southern blotting (che tutavia richiede un’apparecchiatura particolare di cui non tutti i laboratori sono dotati) o il repeat primer assay (RPA), che può invece essere eseguito con gli stessi strumenti utlizzati per l’analisi fragment length.

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