mercoledì 18 settembre 2013

LINFOMA NON-HODGKIN: FORMA FAMILIARE

Reindirizzamento alla versione aggiornata in corso, attendere prego o cliccare qui 



Il linfoma non-Hodgkin (non-Hodgkin lymphoma – NHL) è un tumore di origine immunologica che origina dai linfociti. Nella maggior parte dei casi il linfoma non-Hodgkin si manifesta come una tumefazione non dolente delle stazioni linfonodali superficiali (collo, ascella, inguine), ma alle volte può insorgere anche a livello del sistema digerente, del sistema nervoso centrale, del midollo osseo o della pelle. Esistono diversi sottotipi istopatologici, che possono essere differenziati solo in base al risultato della biopsia. Tuttavia la differenziazione sostanziale può essre fatta in linfomi ad origine dalle cellule B e linfomi ad origine dalle cellule T.

Cause e familiarità

Il linfoma non-Hodgkin si può presentare in modo sporadico o in più membri di una stessa famiglia (forma familiare). Nei casi sporadici sembra esservi un’associazione con l’età avanzata e il sesso maschile. L’esistenza di forme familiari è documentata dalla pubblicazione di diversi studi condotti su sulla ricorrenza della malattia attraverso diverse generazioni di uno stesso albero genalogico. In realtà pare che, nei casi familiari, il rischio di sviluppare la malattia si estenda anche ad altre forme linfoproliferative. Nelle famiglie dove ricorre il linfoma non-Hodgkin vi è infatti un’alta incidenza anche di altre forme tumorali del sistema linfatico. Ad oggi, con eccezione dei casi associati a mutazioni del gene PRF1, le mutazioni genetiche identificate nelle forme familiari di linfoma non-Hodgkin sono soltanto di tipo somatico. Ciò significa che il paziente non è nato con la mutazione, bensì che questa è insorta nel tessuto tumorale (mutazione somatica), dove potrebbe rappresentare una concausa o addirittura una conseguenza della malattia. Mutazioni somatiche sono state identificate fino ad oggi nei geni CASP10, ATM, RAD54L, BRAF, CARD11, TNFAIP3, TRAF2, EZH2, CREBBP, EP300, MLL2 e MEF2B. Tuttavia, è importante insistere sul fatto che queste mutazioni rappresentano un reperto concomitante e non antecedente alla presenza del tumore e che non possono quindi considerarsi la causa diretta della malattia. Un eventuale test genetico per la ricerca di mutazioni nei geni su menzionati non avrebbe quindi alcun valore diagnostico o predittivo ed è perciò, allo stato attuale delle conoscenze, da non raccomandare. Come anticipato, un’eccezione è rappresentata dalle mutazioni del gene PRF1, le quali sembrano correlare ad una forma a tramissione autosomica recessiva del linfoma non-Hodgkin. Va però sottolineato che mutazioni nel gene PRF1 sono state identificate in soli quattro pazienti che, fra l’altro, presentavano anche i segni clinici della malattia più tipicamente causata dalle mutazioni in questo gene: la linfoistiocitosi emofagocitica. Neanche il test genetico per PRF1 è perciò indicato nei pazienti con linfoma non-Hodgkin che non presentino anche segni di linfoistiocitosi emofagocitica.

Riassumendo, rispetto al linfoma non-Hodgkin, più che di forma familiare vera e propria sarebbe forse meglio parlare di tratto familiare di suscettibilità alla malattia. Tale suscettibilità ha quasi sicuramente una base genetica. Tuttavia lo studio degli alberi genealogici nei quali ricorre la malattia non consente di individuare un modello di ereditarietà mendeliana pura ed è perciò verosimile che il tratto di suscettibilità sia costituito da una complessa co-occorenza di fattori genetici, epigenetici e ambientali. Come più diretta conseguenza di ciò, ne deriva che non è possibile predire se un familiare di un soggetto affetto da linfoma non-Hodgkin svilupperà o meno la malattia (o una qualsiasi altra patologia maligna linfoproliferativa). Per lo stesso motivo non è possibile eseguire alcun test genetico predittivo.

È tuttavia possibile soffermarsi su altri aspetti genetici interessanti, come ad esempio l’anticipazione. L’anticipazione è un fenomeno genetico per il quale una malattia tende a presentarsi in modo più grave nel passaggio da una generazione a quella successiva. Diversi autori sostengono che l’anticipazione sia una caratterstica tipica del linfoma non-Hodgkin. Va tuttavia sottolineato che esistono scuole di pensiero discordanti e che non tutti sono convinti dell’occrenza dell’anticipazione nelle familgie con linfoma non-Hodgkin.

Volendo infine porre l’enfasi sulla diagnosi differenziale, andrebbe ricordata una patologia puramente genetica a tramissione legata al cromosoma X che può essere caratterizzata anche dall’insorgenza del linfoma non-Hodgkin. Si tratta della cosiddetta malattia linfoproliferativa a trasmissione X-linked (in inglese X-linked lymphoproliferative disease o XLP). Si distinguono due sottotipi di XLP: XLP1, causata da mutazioni nel gene SH2D1A e XLP2, causata da mutazioni nel gene XIAP. XLP1 può presentarsi in tre forme diverse: (1) sotto forma di grave infezione da mononucleosi a seguito di infezione da EBV o altri virus o sotto forma di linfoistiocitosi emofagocitica, (2) sotto forma di disgammaglobuloinemia, (3) sotto forma di malattia linfoproliferativa come, appunto, il linfoma non-Hodgkin. In effetti XLP1 è una malattia clinicamente estremamente variabile (alcuni maschi restano persino asintomatici). I linfomi caratteristici di XLP1 si sviluppano spesso nell’infanzia e possono verificarsi prima dell’infezione da EBV. In XLP2, invece, i linfomi non sono stati riportati.

Diagnosi 

La diagnosi del linfoma non-Hodgkin è basata sull’anamnesi (storia) personale e familiare, sull’esame clinico (palpazione dei linfonodi, del fegato e della milza), sulla diagnostica per immagini (ecografia, TAC, risonanza magnetica) e, per la diagnosi clinica e istopatologica definitiva, sulla biospsia della tumefazione. Come anticipato sopra, poichè la suscettibilità familiare allo sviluppo del linfoma non-Hodgkin non sembra presentare tratti di edreditarietà Mendeliana pura, non possibile eseguire alcun test genetico predittivo. Nei rari pazienti nei quali sembra esservi una tramissione autosomica recessiva in associazione a mutationi del gene PRF1 sono state in realtà rilevate anche caratteristiche tipiche della linfoistiocitosi emofagocitica.

Nei pazienti in cui si sospetti un linfoma non-Hodgkin verrano eseguiti gli esami del sangue di routine e alcuni dosaggi enzimatici particolari. Tali esami possono rilevare anemia, aumento della lattato deidrogenasi (LDH) e aumento della velocità di eritrosedimentazione (VES).

Cosa fare in caso di familiarità per linfoma non-Hodgkin

Purtroppo non esistono ad oggi tecniche per pervenire o prevedere in anticipo l’insorgeza del linfoma non-Hodgkin. In caso di familiarità sarebbe comunque bene informare il medico curante. Un programma di check-up con esami del sangue ed ispezione clinica ad intervalli regolari potrebbe tuttavia considerasi un approccio sensato.

Nessun commento: